Mia madre è il Traminer, mio padre il Pinot Meunier. Sono nato nel bacino del Reno, territori abitati dai Celti: di me, bambino un po’ selvatico, ha scritto addirittura Lucio Giunio Moderato Columella, già nel primo secolo dopo Cristo. Come molti della mia generazione, sono stato cresciuto e istruito dai monaci, quei Benedettini che svilupparono il loro ordine in quel territorio ora chiamato Borgogna. Non avevo un’identità mia, ero un giovanotto ruspante che cresceva in libertà: il mio nome era “Plant”, o meglio così mi chiamavano, e al massimo aggiungevano qualcosa che ricordasse da dove venivo, o qualche dettaglio del mio aspetto fisico: Plant dorè, Plant gris … Solo nel Trecento cominciarono a chiamarmi col mio nome attuale, Pinot, ma il mio aspetto non era ancora quello attuale: ero solo un ragazzo, acerbo e poco propenso alla produttività, e ci sono voluti molti secoli di apprendistato, al soldo di vignaioli e mercanti, per mettermi in riga. Ma non mi sono fatto mancare gli svaghi: da una libertina e vorace storia d’amore con Frau Heunisch, ho messo al mondo una quindicina di creature: di molte ho perso le tracce, ma il figlio maggiore, lo Chardonnay, ha fatto fortuna, e ogni tanto mi manda una cartolina da ogni angolo del globo, dove ha messo su famiglia. E, i casi della vita, arrivando in Tirolo meridionale ho pure scoperto che due robusti giovanotti locali, Teroldego e Lagrein, sono miei discendenti, nipoti di un qualche grado, figli di figli che, alla ricerca del loro posto nel mondo, si sono divertiti a giocare coi confini, insediandosi sulle frontiere, scavalcandole all’occorrenza, costruendo relazioni coi popoli più diversi e finendo per accomunarli. Io stesso non ho smesso di viaggiare: i monaci Cistercensi mi hanno fatto conoscere l’Europa, fino ad arrivare alla Porta Boema, sul fiume Elba. E lì, nelle terre morave, son restato fino ad oggi, anche se in pochi lo sanno e hanno la fortuna di apprezzare la mia freschezza di spirito. Nemmeno le Alpi sono state una barriera, per me, e le ho passate in lungo e in largo, scendendo fino alla pianura Padana e poi di nuovo su, sulle colline preappenniniche dell’Oltrepò Pavese, sui Colli Piacentini, a godermi climi più miti rispetto a quelli che han caratterizzato la mia infanzia. Quando sono arrivato in queste terre alpine? Ero già adulto e godevo di buona fama: il mio mentore fu l’Arciduca Giovanni d’Asburgo, tredicesimo figlio del Granduca Pietro Leopoldo e fratello di Cecco Beppe. Era un uomo di grande cultura e un fervente sostenitore della modernizzazione agricola: anche grazie all’azione della K.K. Landwirtschafts-Gesellschaft von Tirol und Voralberg, nata nel 1938, riuscì a promuovere la mia causa in Sudtirolo e nel Tirolo italiano, insieme alla conoscenza di molti dei miei nobili discendenti. Il figlio dell’Arciduca, Francesco, nel 1844 ottenne in dono dall’Imperatore Ferdinando d’Austria la celeberrima tenuta S. Valentin di Eppan, dove cominciai a trovare dimora, seppur fugacemente. Ma fui subito ospite di altri mecenati, come Karl von Zallinger, che mi trovò casa in località Sand a Gries, nei pressi di Bolzano, oppure Friedrich Boscarolli, nell’incanto di Castel Rametz a Merano. Da lì, la strada per il Trentino non era poi così lunga. Sabato mi presenterò presso la nuova sede dei Vignaioli del Trentino, in sei versioni espressione di quel territorio. Sperando di finire presto nei vostri calici, vi saluto gioiosamente! Vostro, Pinot Nero.
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